La storia del convento Domenicano di Soriano Calabro ha inizio nel XVI secolo ed evolve sulla base del rapporto tra spiritualità, arte e fede, attraverso cui si dispiega la speranza di un popolo come quello sorianese, che ha saputo condividere momenti di esaltazione e situazioni critiche che hanno caratterizzato questo lembo di Calabria. Essa rappresenta il fiore all’occhiello di quella diffusione dell’Ordine dei Predicatori auspicata dallo stesso fondatore San Domenico di Guzmán nel Mezzogiorno d’Italia. Per individuare gli aspetti più interessanti inerenti la propagazione dell’Ordine Domenicano nel meridione occorre partire dalle indicazioni dettagliate che lo storico del Santuario Domenicano di Soriano, padre Antonino Barilaro O. P., elabora sulla scia del Vicaire, il quale offre un quadro dettagliato 1 inerente l’agiografia del Santo di Caleruega . Dal biografo francese del Santo Patriarca, apprendiamo che San Domenico di Guzmán, alla stregua degli apostoli, desiderava visitare quanto più contrade possibili per annunziare a tutti il Regno di Dio. Tra i suoi desideri, secondo Humbert Vicaire, vi era certamente anche quello di visitare la Calabria, per poter «conquistare al suo 2 grandioso ideale gli innumerevoli monaci di quella Tebaide dell’Occidente» .

Tuttavia, ancor prima della missione in Linguadoca del Santo spagnolo, fioriva in Calabria l’abate Gioacchino, «di spirito profetico dotato» come scrive l’Alighieri nel XII canto del Paradiso. L’abate calabrese predisse l’istituzione di un Ordo Praedicatorum che, quasi certamente, non poteva identificarsi con quello dei vescovi, predicatori d’ufficio, giacché l’episcopato esisteva ai primordi del cristianesimo e non 3 sarebbe stato di sicuro una caratteristica della cosiddetta “sesta età” . Perciò, è possibile scorgere nella profezia dell’abate florense proprio l’istituzione dell’Ordine 4 dei Predicatori di San Domenico .Tra i primi seguaci di San Domenico risulta esservi un certo fra Giovanni di Calabria, che in base a quanto riportato da Barilaro O. P. sui miracoli del Gran Gusmano, sarebbe stato presente in San Sisto Vecchio a Roma, nel momento in cui il 5 Santo risuscitò il giovane Napoleone Orsini . Ciò dimostrerebbe che San Domenico fu in contatto diretto con i monaci calabresi al punto da averli come cooperatori nella missione per frenare il dilagare delle eresie nel nord della penisola tra il 1220 e il 1221. Non è inverosimile allora affermare, che il Santo di Caleruega avesse concepito il sogno di venire in Calabria per visitare quegli eremi e quelle laure, dove prosperavano lavoro e preghiera. Centri di spiritualità dove egli sognava di fondare una fucina di apostoli sull’esempio del vangelo che egli teneva sempre a portata di 6 mano . Non va dimenticato che San Domenico fu il primo ad istituire scuole di teologia «ove si ammaestra di Divinitade» in ogni convento appartenente a un ordine 7 mendicante. Prima di Domenico vi era solo la Facoltà di Teologia a Parigi . Le immani fatiche del 1220-1221 per evangelizzare l’Italia settentrionale, stremarono però le sue energie e il 6 agosto del 1221, in Bologna, consegnò lo spirito a Dio, proprio nel giorno in cui la Chiesa celebra la festa della Trasfigurazione di Cristo sul 8 monte Tabor . Nello spirito San Domenico portava con sé in cielo il bel sogno della Calabria. Scrive al riguardo Antonino Barilaro O.P.: «Era il primo Santo che conservava, anche nella visione beatifica, una certa nostalgia della terra, di quella 9 terra» . Ad ogni modo, le fonti storiche riferiscono che la prima apparizione fugace dell’Ordine Domenicano in Calabria si registra a Cosenza intorno al periodo compreso tra il 1241 e il 1268 10 . La notizia riguardante la prima presenza degli ordini mendicanti in Calabria la si riscontra in una bolla pontificia di Gregorio IX del 29 settembre 1240 data a Grottaferrata con cui l’arcivescovo di Cosenza, Opizio Colombi, fu autorizzato a concedere ai Domenicani la chiesa di San Matteo, nel 11 suburbio della città per edificarne il convento . Tale donazione fatta dell’arcivescovo della città dei bruzi fu confermata l’anno dopo (1241) da Innocenzo IV. Tuttavia, si trattò solo di un atto formale in quanto sia i Francescani, sia i Domenicani di fatto erano già stati espulsi dal regno di Federico II di Svevia, per essersi schierati a favore 12 del papa nella lotta contro l’imperatore . Riguardo le vicende dell’Ordine Domenicano nel regno di Napoli di fondamentale importanza risulta essere quel movimento di riforma iniziato nel secondo e terzo decennio del Quattrocento da Antonio Pierozzi O.P., meglio noto come Sant’Antonino, futuro arcivescovo di Firenze, e del calabrese Paolo da Mileto. 13 Movimento che investì anche la Calabria . Tuttavia, bisogna puntualizzare al riguardo, che già alcuni frati meridionali erano stati promotori di tale riforma, a 14 cominciare dal maestro generale Raimondo da Capua e da coloro che nel 1391 aderirono all’ideale pauperistico di Giovanni Dominici associandosi a lui nel 15 convento di Venezia . Di qui, l’Osservanza, come veniva chiamata in gergo, dopo essersi affermata a Gaeta giunse anche nei conventi di San Domenico Maggiore e di San Pietro Martire a Napoli. Sant’Antonino fu priore proprio nel convento di San Pietro Martire a Napoli dal 1426 al 1429, prima di ricoprire il medesimo incarico a 16 Gaeta e a Sessa Aurunca . Le tracce riguardanti la diffusione dei frati predicatori nel sud della nostra penisola, indicano che in Calabria diversi conventi Domenicani sorsero anche grazie all’opera benemerita di illustri devoti, esponenti di casati nobiliari come i Ruffo di Calabria e i Sanseverino, tra loro imparentati. Solitamente, i nobili del luogo dopo aver dotato i conventi in questione di numerosi beni, ottenevano con la loro influenza il 17 beneplacido papale . Così avvenne quando nel1401, i frati predicatori si insediarono stabilmente nella città di Catanzaro dando vita al primo convento Domenicano istituito in Calabria, per concessione (19 settembre 1401) del conte Nicola Ruffo con 18 l’approvazione di Bonifacio IX del 28 ottobre dello stesso anno . Fu così che il culto verso la Vergine del Rosario si divulgò a poco a poco in tutta la Calabria. il motivo per cui il culto rosariano fece proseliti nelle popolazioni del meridione, è dovuto soprattutto al fatto che nel capoluogo calabrese venne eretta la prima Confraternita della regione in onore del SS. mo Rosario e nel nome di Gesù, subito dopo la fondazione del convento domenicano. Con la bolla di Bonifacio IX venne approvata l’opera del Conte D. Nicola Ruffo, che a Catanzaro aveva fabbricato o dotato una 19 chiesa e un convento per i domenicani presso l’ospedale dell’Annunziata . Dopo breve tempo, in Calabria, iniziarono a fiorire una serie di conventi all’insegna 20 dell’Osservanza . In successione sorsero i conventi di: Altomonte (1444), Cosenza (1447), Squillace (1450), Amendolara (1450), Montalto Uffugo (1456), Taverna (1465), San Giorgio Morgeto (1473), Bisignano (1475) e Santa Severina (1482), giusto per menzionarne alcuni tra i più importanti. L’influenza esercitata dai casati nobiliari rivela che il convento di Altomonte fu fondato e dotato dalla contessa Donna Covella Ruffo, che insieme al figlio Don 21 Antonio Sanseverino, rinunziarono, sembra, al loro ius patronatus sulla chiesa e sulla nomina del cappellano col consenso del vescovo di Cassano mons. Gioacchino 22 (Suhare) e con la conferma apostolica di Eugenio IV dell’11 marzo 1444 .

Proprio fra Paolo da Mileto, a nome del suddetto convento domenicano, ricevette nel 1449 dal conte Antonio Sanseverino un mulino, due giardini due oliveti e un frantoio posti nel territorio di Corigliano 23 . Fra Paolo chiese inoltre al notaio apostolico, Nardo Russo, di rogare (24/05/1454) un contratto pubblico di transunto di una bolla papale del 1451 con cui Nicola V esentava il convento dal pagare alla mensa episcopale 24 cassanese la «quarta» dei legati pii . Anche il convento domenicano di Montalto Uffugo fu fondato da fra Paolo da Mileto su istanza di Marino Ruffo, duca di Rossano, mentre quello di Santa Severina fu fondato dai Signori Susanna prima del 25 1492 . Il convento di San Giorgio Morgeto secondo una prima fonte sarebbe stato fondato dal conte Giovanni Battista Caracciolo, secondo altri, sarebbe stato fondato 26 da alcuni gentiluomini veneziani della famiglia Gerarda . Per quanto riguarda Cosenza, invece, va aggiunto che il convento domenicano venne fondato al termine della dominazione angioina. Infatti, fu autorizzata l’erezione da papa Nicolò V nel 27 1447 . Di fatto, dopo Catanzaro, il monastero domenicano di Altomonte va considerato come la seconda fondazione domenicana in Calabria. Da questa breve indagine si evince come un ruolo di primo piano nell’ambito della diffusione dei conventi domenicani in Calabria fu svolto da frate Paolo da Mileto, uno dei principali promotori della riforma religiosa per quanto concerne i conventi del regno di Napoli. Infatti, nei conventi sopra menzionati fra Paolo introdusse e ristabilì la «perfetta 28 Osservanza», in particolare nel monastero di Altomonte . Per inciso, l’adesione di frate Paolo all’Ordine dei Predicatori avvenne ufficialmente nel convento di Napoli dove vestì l’abito domenicano. Ben presto, per le sue indiscusse virtù, fu nominato vicario generale della Congregazione riformata, in seguito separata (1445) da quella del capoluogo partenopeo, di cui ne divenne provinciale. Negli ultimi anni della sua vita, il frate di Mileto si ritirò nel monastero di Altomonte dove morì il 13 aprile del 29 1470 . Tra i discepoli di frate Paolo vi fu probabilmente il padre Vincenzo da Catanzaro O.P., religioso vissuto all’insegna della semplicità e animato da profonda pietà. Secondo quanto riporta Antonino Barilaro O. P., l’umile frate fu protagonista di una vicenda alquanto singolare che lo portò fino a Soriano, ai piedi delle serre per fondarvi il convento domenicano. In breve, in una notte del dicembre del 1510 l’umile frate si destò di soprassalto scorgendo davanti al suo letto una figura maestosa che si qualificò come San Domenico in persona, il quale lo esortava a recarsi a Soriano per fondarvi un nuovo convento. Il povero frate pensò ad una allucinazione prodotta dalla sua fantasia, visto che ignorava la terra di Soriano perciò non prese affatto in considerazione l’ordine ricevuto. Era sicuro che avrebbe dimenticato tutto ciò come avviene per quei sogni che generano un certo turbamento nell’animo, pur essendo forieri di messaggi ben precisi che spesso si vorrebbero rimuovere. La notte seguente però fra Vincenzo non riesce a chiudere occhio, la visione della sera precedente lo tiene in ansia. Fu così che San Domenico si ripresentò una seconda volta alla stessa maniera in cui era apparso precedentemente esortandolo ad eseguire il suo volere anche perché sorprendentemente il suo compito sarebbe stato agevolato. Di fronte a tale situazione, il pio religioso chiese umilmente udienza al suo priore che lo autorizzò a partire alla volta di Soriano. Tuttavia, fra Vincenzo pur accingendosi alla partenza, esitò ancora poiché non si sentiva degno né capace di assumere tale cimento. Per la terza volta, la notte successiva, San Domenico si ripresentò nuovamente a lui «con la faccia turbata e minacciosa» richiamandolo all’obbedienza. A questo punto, padre Vincenzo rompendo ogni indugio partì in compagnia di un fratello laico come era in uso a quei tempi 30 . La strada attraverso le Serre di Calabria, seguendo l’itinerario da Squillace a Chiaravalle a Serra San Bruno era decisamente ardua, perciò incamminarsi a piedi non era certo un compito agevole. Tuttavia, dopo circa due giorni di viaggio impervio, il frate sicuramente affaticato giunse (probabilmente l’undici dicembre) a Soriano, un paese di mediocre importanza fondato secondo la tradizione locale dell’epoca da alcuni esuli provenienti dalla 31 Siria . Nel momento in cui padre Vincenzo da Catanzaro giunse in paese i capi discutevano intorno a un progetto per fondarvi un convento di religiosi. Questi si erano dapprima rivolti ai Francescani che avevano fondato il convento di San Lorenzo nella vicina Arena, ma poiché tale monastero viveva anche della questue praticate in territorio sorianese, i frati minori non ritennero opportuno fondarvi una 32 seconda casa a breve distanza. Perciò, i Terrazzani adunati in parlamento cercavano una soluzione alla realizzazione del loro progetto e in virtù di ciò, considerarono l’arrivo del frate domenicano di Catanzaro provvidenziale. Frate Vincenzo espose il motivo del suo viaggio inaspettato e descrisse la miracolosa visione chiedendo l’istituzione di un convento della Regola Domenicana. Fu così che i cittadini del borgo decisero all’unanimità di erigere un convento Domenicano 33 . L’atto di nascita del convento di Soriano risale quindi al dicembre del 1510, in base alla bolla di fondazione riportata da Antonino Barilaro O. P., non accolta nel Bullarium ma riportata nel Regesto vaticano e indirizzata da Giulio II al vescovo di Mileto del 34 tempo il cardinale romano mons. Andrea della Valle . In attesa di dare inizio ai lavori del convento, a frate Vincenzo venne assegnato «un umile ricetto, contiguo ad 35 una chiesetta chiamata la Nunziata» che nel Seicento fu incorporata al santuario . A quel tempo, il centro di Soriano era arroccato su un ripido pendio senza la possibilità di spazi idonei a costruzioni pertanto, si ritenne opportuno erigere la chiesa e il convento nei pressi del sobborgo del paese dove il torrente Cornacchia incrocia il Carìdi. Nell’attesa di edificare una chiesa più ampia e il relativo convento fu dato momentaneamente ai religiosi un umile abitacolo, contiguo a una chiesetta denominata dell’Annunziazione situata fuori paese, in basso, sulla sponda destra del torrente Félleri proprio nel punto in cui questo torrentello sfocia nel più grosso 36 Cornacchia nei pressi dell’antica strada per Vibo . Una grossa croce fu piantata sul luogo dove doveva essere eretto il nuovo convento ma il mattino seguente, sorprendentemente, la stessa fu ritrovata presso la cappella dell’Annunziata. Gli abitanti del sobborgo pensarono che quelli del paese ubicato più in alto avessero fatto ciò a notte fonda affinché il convento potesse sorgere vicino al loro agglomerato urbano. Riportata la croce al suo posto delle guardie furono poste per evitare altre simili sorprese. All’alba le guardie rimasero costernate nel constatare che la croce era sparita perciò diedero l’allarme e la croce fu ritrovata nuovamente piantata sopra la roccia che fiancheggiava la piccola cappella della Madonna. Visti i fatti accaduti, anche se il sito sembrava poco adatto, nessuno osò più cambiarlo al punto che si pose 37 mano ai lavori . Nonostante la roccia del posto non fosse calcarea, l’umile frate catanzarese fece costruire una fornace dove mise a cuocere sassi ordinari da cui ottenne una calce eccellente. Iniziata così la fabbrica del sacro edificio, ben presto fu terminata la tribuna della chiesa e una modesta abitazione provvisoria dove si stabilirono tre sacerdoti, un converso e un Terziario. Dopo aver retto per alcuni anni la piccola comunità di frati stanziati a Soriano, padre Vincenzo anziano e acciaccato ritornò nel convento di Catanzaro da cui era venuto, dove, poco dopo, morì santamente. A succedergli fu chiamato un altro umile religioso, padre Domenico Galiano da Soriano. Insieme a lui la comunità domenicana sorianese era composta da: padre Stefano Natale da Soriano, padre Tommaso da Gerocarne, il fratello laico fra Lorenzo da Grotteria e un piccolo postulante Natale Sorbilli da Pungadi. Nonostante la chiesa non fosse terminata, era tuttavia adatta a celebrare gli uffici divini. In essa la piccola comunità di frati si radunava ogni notte per la recita del mattutino, alla 38 stregua delle grandi comunità di rigorosa osservanza . Scrive al riguardo il Gallucci: «L’iniziato cenobio, per quanto scarso allora di religiosi Figluoli di S. Domenico, altrettanto prendeva di giorno in giorno nuovi incrementi, specie per essere stato appunto in quell’anno 1530 promosso a primo Moderatore della novella Provincia Domenicana di Calabria il zelante p. F. Agostino da Nicastro, il quale vien meritatamente elogiato per la sua instancabile diligenza a diffondere la tenace e perfetta osservanza della Regola del Santo Patriarca. Nel nostro Convento, retto nella 39 qualità di Vicario dal p. F. Domenico Galiano, non vierano che quattro frati» . I frati passavano il loro tempo occupati nel portare avanti la fabbrica del convento e nella preghiera, praticando la povertà all’insegna del vangelo. In tal guisa, erano passati vent’anni dall’arrivo del fondatore del Convento, padre Vincenzo da Catanzaro, i frati predicatori avevano seguito le sue orme e quelle del beato Paolo da Mileto, che aveva introdotto la perfetta osservanza. Al momento dell’evento prodigioso del 1530 la comunità dei frati era composta da: padre Domenico Galiano da Soriano, Vicario della Casa, padre Stefano Natale da Soriano, padre Tommaso da Gerocarne, il fratello laico Lorenzo da Grotteria (RC) cooperatore e il postulante Natale Sorbilli da Pungadi presso Mileto. Ogni notte i frati si ritrovavano in Chiesa per la recita dell’Ufficio Divino, ‹‹Liturgia delle Ore››. Proprio nella notte tra il 14 e il 15 di settembre di quell’anno verso le 2,30, fra Lorenzo da Grotteria, in qualità di sacrestano, scese per primo nel coro per adempiere come consuetudine ai preparativi e accendere le candele. Grande fu la sua meraviglia, come documentato da Martino Campitelli, quando vide tre donne di aspetto maestoso . Assalito dai dubbi pensò di aver dimenticato aperta la porta della Chiesa, ma la donna dall’aspetto più maestoso fugò i suoi dubbi avvicinandosi con fare gentile per chiedergli: «Avete in questa 40 chiesa qualche immagine di S. Domenico?» .

Il frate, confuso, disse che vi era soltanto quella dipinta e sbiadita sulla parete. La donna allora gli consegnò un involucro di tela che fra Lorenzo portò immediatamente al superiore. Ascoltato il suggestivo racconto di fra Lorenzo i frati, di fronte allo spiegamento della tela, tramutarono il loro turbamento in stupore, quando videro l’Immagine di San Domenico di Guzmán, passando alla riverenza. Nel frattempo le donne non c’erano più, nonostante le porte fossero ben serrate. La notte seguente apparve Santa Caterina Vergine e Martire di Alessandria d’Egitto a uno dei frati dicendogli che le donne della notte precedente erano: la Vergine Santissima, santa Maria Maddalena e lei 41 stessa, protettrice dell’Ordine Domenicano . Scrive al riguardo il Frangipane: «Una grandissima semplicità di colori riluce un artifizio tanto maestrevole in formar proporzionatamente tutto il corpo, che dimostra manifestamente, che l’industria humana non sarebbe à ciò stata bastevole, e la divina ha impiegata in quella tela molt’arte. Dove in tal modo con la maestà del personaggio, gareggia l’umiltà del sembiante, che non sapresti discernere se si rappresenti quivi, il più maestoso uomo che sia stato sopra la terra, o il più abietto, e dispregiato di se medesimo, che fosse nel mondo: dove in un aspetto serenissimo cagionante a chi lo contempla interno gaudio, e spirituale allegrezza […] E il corpo di quell’Immagine di cinque palmi e un quarto di lunghezza (mm. 1.386), nella destra mano ha un libro, e nella sinistra un giglio, dove egli si dimostra di mediocre statura di aspetto bello, ma venerando e mortificato, col volto alquanto affilato e il naso aquilino, i capelli la maggior parte son canuti, e gli altri (peli), così della barba come della testa, dimostrano che vanno alquanto al rosso; la faccia è molto bianca, e ha col candore congiunta la pallidezza; gli occhi son serenissimi, e da ogni parte che essi guardino rimirano con uno piacevolissimo terrore; le vesti e l’abito non passano il tallone restando tutto il piede di scarpe nere coperto, e finalmente tutta l’Immagine altro non 42 rassembra se non artifizio celeste e divino» . Sta di fatto che, nonostante il complesso conventuale non fosse abbastanza grande, 43 fu prescelto con grande meraviglia come sede di un capitolo provinciale nel 1550 anche se, solo grazie al capitolo di Bologna del 1564, la Casa di Soriano da semplice vicariato fu elevata al rango di convento con la comunità che si era ingrandita e contava dodici frati. Tra lasciti e donazioni il conventino cominciò a crescere e a diventare sempre più conosciuto per la Santa Immagine miracolosa. Nel 1609 il convento viene descritto dal Frangipane come il «più magnifico ed ampio che sia non solamente in questa provincia, ma de’ più belli e ordinati di questo regno, dove si trovano spesi per lista presso a quarantamila ducati, e ciò non delle rendite le quali sono, proporzionate alla terra, picciole, ma delle limosine arrecate dai popoli in sengo 44 di gratitudine delle ricevute grazie del santo» . A ciò, lo stesso Frangipane annota che in occasione della ottava festiva (tra il 29 luglio e il 5 agosto) affluirono a Soriano circa centotrentamila forestieri, anche in virtù della cosiddetta fiera di San Domenico che era fra le più importanti della Calabria con quasi trecento botteghe. Questa fu la prima grande svolta per il convento di Soriano sotto il pontificato di Paolo V, quando era maestro generale dell’Ordine domenicano frate Agostino Galamini che si recò personalmente a Soriano e avviò un’inchiesta sui fatti accaduti 45 riguardo la donazione della Santa Immagine da parte della Vergine Santissima . C’erano voluti ottanta anni circa affinché l’Ordine riconoscesse ufficialmente 46 l’evento prodigioso del 1530 . In tal guisa, Soriano si affacciava alla ribalta nell’ambito dei complessi ingranaggi della politica internazionale. Il Galamini divenne cardinale nel 1611 ma rimase in carica fino all’elezione del nuovo maestro generale frate Serafino Secchi da Pavia che con decreto del trenta agosto 1612 trasferì 47 il capitolo provinciale della Calabrie da Cosenza a Soriano . In quell’occasione fu eletto provinciale all’unanimità padre Silvestro Frangipane da Zagarise che si trovò subito a mediare tra l’instaurazione della perfetta osservanza portato avanti dal generale e le resistenze dai domenicani calabresi. In quegli anni il governo dell’Ordine concentrava le energie per assorbire la provincia calabrese, insieme alle altre “ribelli” nell’orbita delle provincie riformate. Nel 1617 Filippo Arduino divenne provinciale il convento divenne seminario dei semplici e dei professi 48 . Una nuova svolta per il convento sorianese si registra nel 1620 quando fu rieletto provinciale padre Silvestro Frangipane da Zagarise il quale si diede da fare per pubblicare miracoli e grazie avvenute per intercessione della Santa Immagine di Soriano, oltre che per riacquistare rispettabilità politica nei rapporti col viceregno spagnolo, dopo i fatti relativi alla congiura che nel 1559 vedeva protagonista Tommaso Campanella e 49 altri dodici frati, suscitando dissapori anche con i frati del cenobio sorianese . A tal proposito, desideroso di far regnare la disciplina in tutti i conventi il maestro generale Secchi inviò a Soriano (1624) fra Tommaso Marini, provinciale della Terra Santa, in qualità di visitatore delle province di Sicilia, Abruzzo, Puglia e Calabria. Il Marini «diede molte leggi per il buon reggimento di quel convento, e per l’aumento della disciplina regolare, e confermò l’ordine che si attendesse a registrare li Miracoli, che 50 si operavano da quella Santa Immagine» . Col capitolo di Milano (1622) il convento sorianese fu designato come sede di uno Studio Generale con la medesima forma e gli stessi diritti istituiti nel precedente Capitolo in Lombardia, oltre a quello di 51 Bologna . Nel luglio del 1625 il Secchi ricevette da Urbano VIII il «de reformandis provinciis Calabriae, Apuliae et Siciliae» con cui gli veniva conferito, tra l’altro, il potere di importare per le tre provincie, candidati alla carica di provinciale provenienti in esclusiva dalle quattro circoscrizioni riformate di Lombardia, Abruzzo, 52 Toscana e Santa Maria della Sanità . Nel 1629, venne eletto maestro generale un nobile fiorentino, frate Niccolò Ridolfi e il convento di Soriano fu designato come di stretta osservanza e vi fu stabilito il 53 noviziato, mentre lo Studio Generale sorianese fu trasferito a Nicastro . Nel medesimo Capitolo del 1929 fu proibito al convento di Soriano l’accoglienza di altri giovani sorianesi «giacché il numero dei figli di detto convento è ormai troppo, né 54 con le sue rendite se ne possono nutrire di più» . Il Ridolfi considerava il convento di Soriano l’occhio destro dell’Ordine Domenicano, perciò non potendosi recare subito in visita a Soriano nel 1633 inviò il maestro fra Ignazio Cianti, provinciale d’Inghilterra, il quale si prodigò affinché fosse iniziata la costruzione di una nuova chiesa e si erigesse una cappella di marmo e bronzi dorati per ospitare la Santa Immagine. Nel 1635 il re Filippo IV inviando come dono una lampada d’argento riceve sotto la reale protezione la Santa Casa di Soriano 55 . Nel 1638 per ordine di Urbano VIII il maestro generale Ridolfi giunse in visita a Soriano e vi rimase quattro 56 mesi . Nel 1640 si concretizzò l’intenzione di eleggere San Domenico patrono del regno di Napoli e la chiesa di Soriano era divenuta per ordine regio cappella reale. Grandi festeggiamenti segnarono l’evento nel 1641 quando nel mese di marzo si gioì per otto giorni consecutivi in molti centri del regno. Nella solenne capitolazione letta nella cappella di San Domenico a Napoli l’Immagine di Soriano venne esaltata quale 57 «perenne fonte di grazia e vessillo, alla cui ombra tutti si affidano» . Nel 1644 attraverso miserabili macchinazioni venne deposto il Ridolfi e fu eletto maestro Generale frate Tommaso Turco da Cremona che stabilì che in tutto l’Ordine si celebrasse solennemente la delazione della miracolosa Immagine di San Domenico in Soriano e si recitasse l’ufficio del giorno del Santo che a quel tempo era il 4 di agosto. In tal modo, la cosiddetta “calata del Quadro” entrava nella liturgia 58 dell’Ordine . Nel 1649 morto a Roma il padre generale Turco, Innocenzo X nominò Presidente Generale dell’Ordine il riabilitato Niccolò Ridolfi, il quale morì alla vigilia della sua probabile rielezione (25 maggio1650). A giugno venne eletto generale padre Giovan Battista de Marinis, il quale inviò per ben due volte a Soriano il maestro fra Gregorio Areylza, provinciale della Terra Santa, con autorità suprema di visitatore e in qualità di vicario generale della provincia di Calabria. fra Gregorio Areylza, tra l’altro, riordinò alcuni aspetti relativi ai tre voti essenziali e alle regole di costituzione dell’Ordine per tutta la provincia e di ciò: «fece seminario il Convento di Soriano, affinché ivi si vivesse con osservanza più stretta e rigorosa, come il tutto si vede nelle ordinazioni da lui fatte, e mandate alle stampe nella Città di Messina e Cosenza; per lo che sia aumentata la divozione de’ popoli verso la Santa Immagine, e 59 accresciuta nello spirituale e temporale maggiormente quella Santa Casa» . Va precisato che i domenicani appena si insediavano in un luogo si facevano promotori del culto verso la Vergine del Santo Rosario, erigendo una confraternita. Già nel 1650 in vari paesi dell’hinterland vibonese vi erano diverse bellissime icone della Santa Effige di Nostra Signora del Rosario con i Quindici misteri. La presenza di queste icone lascia supporre quanto fosse attiva la presenza di associazioni laiche rosariane nella valle del Mesima e del Poro per la diffusione del Rosario nelle comunità 60 rurali . Con l’aumento di notorietà della Santa Immagine in virtù dei miracoli elargiti e divulgati a mezzo stampa, si incrementava il numero di visitatori e pellegrini nella Santa Casa di Soriano, oltre al numero dei frati che aspiravano di essere ospitati nel suddetto convento. Ovviamente ciò richiedeva sempre più maggiori fondi per far fronte, dal punto di vista economico, alle spese che il convento era chiamato a sostenere. Spese che riguardavano non solo il mantenimento di numerosi religiosi, ma anche di tanti poveri che quotidianamente si presentavano alle porte del convento. Senza dimenticare la spezieria del Santuario grazie alla quale veniva prestato soccorso ai bisognosi provenienti da ogni parte della contea e perfino dai territori con essa limitanti o, che erano in gestione dei frati del convento sorianese come nel caso 61 di Vallelonga, i cui abitanti vi si rivolgevano per problemi di salute fino al 1783 . Questo fu il motivo per cui i padri sentirono il bisogno di acquistare dei feudi per 62 poter contare su entrate sicure con cui affrontare tali “dispendi” . Già nel 1642, Fra Michelangelo, procuratore del convento, andava in giro in ogni fiera della Calabria a 63 raccogliere le bestie che venivano offerte al Santo Patriarca . Tuttavia, mentre i padri cercavano un investimento sicuro e redditizio per poter impiegare i notevoli capitali che man mano si accumulavano attraverso donazioni varie, per grazie ricevute attraverso l’intercessione della Santa Immagine, aspettarono l’occasione giusta per fare un grande salto di qualità in tal guisa e diventare feudatari a tutti gli effetti. L’opportunità si presentò quando la contea di Soriano, dopo la morte dell’ultimo duca di Nocera, Francesco Maria Domenico Carafa, il feudo, senza legittimo successore, era stato devoluto «a beneficio del Regio Patrimonio della Maestà Cattolica di 64 Filippo IV» . Naturalmente non mancavano nobili casate in qualche modo imparentate ai Carafa che aspiravano alla Contea di Soriano, fra cui il Marchese di Arena il cui feudo abbracciava anche il territorio di Gerocarne, alle porte di Soriano che anticamente era appartenuta proprio ai signori di Arena e solo nel 1506 Ferdinado II l’aveva costituita contea indipendente investendo come proprietario Gurello Carafa della Statera. A ciò, va aggiunto che la famiglia Carafa, già alla fine del Cinquecento si era fortemente indebita al punto da vendere diversi possedimenti in Calabria. Non a caso, nel 1650 assieme alla contea di Soriano erano stati devoluti alla regia corte i 65 beni di Filogaso, San Nicola, Simbario e Stefanaconi . Di certo i sorianesi non avevano simpatie per il Marchese di Arena che, a sua volta, tentò di occupare la contea con la forza. Ciò spinse i domenicani di tentare l’acquisto della contea, rivolgendosi prima di tutto al maestro generale dell’epoca, Giovan Battista Marinis che incoraggiò l’impresa. Furono, pertanto, inviati a Madrid padre Agostino da Soriano, in qualità di procuratore generale, e fra Gregorio da Soriano (laico). In pochi giorni l’acquisto della contea fu concluso giacché Filippo IV era devoto del miracoloso simulacro del Santo di Caleruega; inoltre, perché il governo spagnolo cercava di reperire denaro vendendo i feudi ereditati. Va detto che i domenicani di Soriano avevano già tentato di investire le loro entrate in beni immobili come nel caso di Belforte vicino a Soriano, distrutto dal terremoto del 1638 e, sul versante ionico, Motta Placanica dove esisteva un convento domenicano fondato prima del 1474 e annesso a quello di Soriano. Feudo venduto in seguito al Barone di Santa Cristina, Alessandro Clemente. A Soriano erano annesse le case di 66 Pizzo e di Pizzoni sotto il titolo di Santa Maria del Soccorso . La contea di Soriano comprendeva tre casali che appartenevano a tre distinti monasteri: San Basilio, Santa Barbara e Sant’Angelo. Il prezzo pattuito fu di 7.0000 ducati, di cui 1.0000 furono pagati subito, i restanti 6.0000 dovevano essere versati successivamente presso la corte di Napoli. A ciò, si aggiungevano altri 14.000 ducati da versare al re come omaggio, pertanto la somma complessiva dell’acquisto fu di 84.000 ducati. La contea di Soriano acquistata dai domenicani destò curiosità al punto che in tanti si domandavano come avessero fatto i frati, appartenenti a un “ordine di mendicanti” a portare a termine una transazione così vantaggiosa possedendo solo pochi contanti. Il 67 resto del denaro fu pagato in circa dieci anni . Ovviamente il caso fu una singolare eccezione nell’Ordine Domenicano, perciò non mancarono coloro che vi rimasero scandalizzati vedendo nell’acquisto una violazione del voto di povertà in seno all’Ordine. Tuttavia, il Lembo spezzò una lancia a favore di tale acquisto sostenendo che non vi era stata violazione alcuna della regola di povertà giacché furono invece 68 notevoli i vantaggi spirituali, apostolici, scientifici e sociali . In breve, i domenicani saldarono il conto con la Regia Camera della Summaria di Napoli mentre il 5 novembre del 1659 un forte sisma distrusse il convento danneggiando la chiesa. Rimase intatta la cappella di marmo che custodiva la sacra effige. Nel disastro perirono nove religiosi. I frati per poter andare incontro a nuove spese ingenti pensarono di vendere alcuni loro feudi. Fortuna volle che lo stesso sovrano Filippo IV nel 1660, sensibile alle suppliche dei frati che inviarono a Madrid padre Silvestro Galluccio e un fratello converso, ordinò al conte di Peñaranda di donare al convento in varie tranche erogabili in circa cinque anni la somma di 1.0000 ducati, a cui ne 69 furono aggiunti altri 1.000 nel 1662 . Ancora, il 27 febbraio del 1662, il barone di Brognaturo, Paolo De Sanctis condonò ai frati un grosso debito, facendo anche dono 70 della sua baronia al convento . Sulla stessa scia i nobiluomini Paolo Tirotta e Cesare Gaetano fecero importanti lasciti al Santuario grazie alle quali i frati riuscirono a superare la congiuntura che sembrava insormontabile. Inoltre nel 1670 fu annessa al 71 convento la baronia di Pizzoni, Vazzano, Simbario e Vallelonga . Soriano divenne crocevia di architetti e maestranze provenienti da Napoli e da Messina per la ricostruzione del convento. A tal proposito, il conte di Peñaranda inviò a Soriano un architetto di fama, il certosino Bonaventura Presti affinché tracciasse un grandioso progetto adeguato alla devozione che la Celeste Immagine ispirava nei tanti fedeli provenienti da ogni dove, aspirando così a una costruzione più degna della celebrità del Santuario. Per facilitare l’inizio dei lavori e lo sviluppo dell’opera papa Alessandro VII concesse ai frati la chiesetta dell’Annunziata che era stata affidata a 72 padre Vincenzo da Catanzaro al suo arrivo a Soriano . Il progetto del Presti ricalca per sommi capi, secondo alcuni attenti osservatori, l’Escoriale di Madrid 73 . La facciata della chiesa ricalca, invece, Il prospetto di Sant’Andrea della Valle in Roma 74 del Rainaldi . L’aspetto imponente assunto dal Santuario lo si riscontra nella stampa settecentesca di Fabiano Miotte, oltre che nella stampa di Bernardino Rulli ancor più realistica nei particolari. Nel 1677 il maestro generale pro tempore, padre Giovan Battista Rocaberti si giunse a Soriano per rendere omaggio alla Santa Immagine e per dare disposizioni riguardo al mantenimento della stretta osservanza. Quando nel 1693, nel suo itinerario di visita della Calabria giunge in Santuario l’abate Giovan Battista Pacichelli il Santuario è quasi terminato. A tal proposito, l’abate scrive: «Nel maggior Altare, fra quattro colonne di marmo mischio, co’ capitelli di bronzo dorato, da una mezza statua della Vergine di questo metallo, mostra di essere sostenuta la Sagra Immagine, ch’ella degnossi con le Sante Caterina V. e M. e Maria Maddalena, qui depositare […] Vi è un ciborio rotondo, con colonne di alabastro 75 bianco, basi e capitelli dorati, e per ordinario una semplice suppellettile» .

Fu così che il dono della Sacra Immagine di San Domenico di Guzmán al convento di Soriano diede vita a un fermento di fede popolare, che portò alla realizzazione di un complesso monumentale tra i più grandi d’Europa. Il Guercino (1591-1666) in quel di Bolzano, dipinse la “Visione di Soriano” e, tanti altri artisti interpretarono la scena della consegna della sacra Immagine. Copie del Quadro di Soriano sono sparse per il mondo. Una di esse la si può trovare anche nella regione di Castiglia, terra natia 76 del Santo a Caleruega . Oltreoceano il prodigio si propagò soprattutto nell’America Latina. Alcuni storici rilevano che il culto di San Domenico in Soriano ‹‹ratificato da un intervento divino›› si propagò nel mondo, anche grazie al clima ispirato dalla Controriforma, per il modo in cui contrastò l’iconoclastia di molti movimenti 77 protestanti . La motivazione di questo sensazionale avvenimento si spiega perché, oltre ad essere una Tela Acheropita, la sacra Immagine di San Domenico, fin dalla sua apparizione, ha avuto un forte impatto taumaturgico sul popolo cristiano, dispensando grazie e favori a quanti si sono recati a pregare al suo cospetto. Innumerevoli schiere di pellegrini dall’Europa e dal nuovo Mondo, gente di ogni estrazione sociale, giunsero a Soriano per venerare la Santa Immagine. Molti furono i nobili, tra cui il Duca di Nocera, il Conte di Melissa, il Principe della Roccella con la principessa Agata Branciforte, il Duca di Monte Alto e la signora, Donna Olimpia cognata di papa Innocenzo X e il principe di Maida che offrì una lampada d’argento con 300 scudi. Particolare interesse desta inoltre, la devozione dell’Olio della Lampada che arde d’innanzi alla Celeste Immagine, tramite cui il Santo Patriarca operò guarigioni straordinarie. Il fatto assume grande clamore, in quanto gli stessi effetti miracolosi si verificarono spesso con l’Olio di varie lampade accese davanti a semplici riproduzioni del Quadro di San Domenico in Soriano. I celebri Bollandisti riferiscono, di due guarigioni (due donne ammalate di cancro) avvenuti in Belgio, nelle Fiandre e precisamente ad Anversa nel 1632 e nel 1634 78 . Numerose sono le testimonianze di miracoli per opera del santo, attraverso l’Immagine di Soriano, in Italia e persino all’estero: Spagna, Austria, Dalmazia, Germania, Belgio. Ricordiamo, ancora una volta, come nel 1640 Urbano VIII, per gli innumerevoli prodigi, proclamò il Santo di Caleruega patrono del Regno di Napoli, e nel 1654 Innocenzo X stabiliva che la festa principale di San Domenico venisse celebrata, in tutto il Napoletano, 79 come festa di precetto per i prodigi operati da San Domenico in Soriano . Numerose sono le testimonianze di miracoli per opera del Santo, attraverso l’Immagine di 80 Soriano, in Italia e persino all’estero: Spagna, Austria, Dalmazia, Germania, Belgio . Francesco Faeta rileva, riguardo all’Immagine Acheropita di San Domenico in Soriano, che essa: «stabilì e diede autorità al Santuario domenicano di Soriano e venne ricordato soprattutto nei circoli domenicani di Spagna, donde il gran numero di 81 quadri spagnoli con questo soggetto» . In Belgio, i celebri Bollandisti furono quasi testimoni oculari di guarigioni straordinarie registrate con processo canonico del 82 vescovo del luogo . Il 7 dicembre del 1743 un movimento tellurico scuote Soriano e il suo Santuario, proprio quando si stava procedendo al rifacimento della tribuna della chiesa, della 83 cupola e del campanile che probabilmente si elevava a circa cento metri di altezza . I lavori del nuovo altare vennero invece completati nel 1757 insieme all’ancona dove fu posizionata la sacra Tela. La solenne inaugurazione della chiesa avvenne il dodici maggio del medesimo anno, quando celebrò il pontificale l’arcivescovo di Cosenza Michele Capece Galeota e nel giorno seguente il vescovo di Mileto Giuseppe Maria Carafa che consacrò il nuovo altare maggiore. Questo evento fu anche illustrato da un 84 fascicolo a stampa .

Il 1783 è l’anno della catastrofe per il Santuario di Soriano e per tutto il paese. Il triste avvenimento apocalittico lo riporta con dovizia di particolari Giovanni Vivenzio, incaricato da Ferdinando IV di Borbone a redigere una relazione dettagliata. Un primo movimento tellurico di circa due minuti avvenne il 5 febbraio di quell’anno infausto. Tanto bastò a distruggere gran parte della Calabria Ulteriore. Un secondo movimento di circa un minuto e mezzo si verificò verso l’una di notte di giorno sei. Un terzo terribile movimento di circa due minuti e mezzo si scatenò giorno 7. Soriano fu devastato da quella scossa che causò un vero e proprio cataclisma poiché mentre la scossa del 5 febbraio aveva avuto come epicentro le falde dell’Aspromonte, quella del 7 febbraio ebbe come epicentro la contrada sorianese. Alcuni tra gli abitanti di Soriano, non curandosi dell’imminente pericolo rientrarono nelle proprie case, mentre altri giravano in gran numero per il paese portando in processione la statua di San Filippo Neri e furono inghiottiti dal cataclisma. Per quanto riguarda il Santuario con il sisma del 5 febbraio crollò il campanile e l’orologio del convento. Con la terribile scossa del 7 febbraio crollò la facciata della chiesa e il resto del convento. Rimasero in piedi due pilastroni, qualche pezzo della 85 facciata e qualche muro di cinta . Va aggiunto, che dopo le prime scosse del 5 febbraio e i primi danni registrati ai danni del Santuario, i frati insieme alla popolazione si riversarono lelle campagne nonostante una pioggia torrenziale flagellasse ulteriormente il territorio della contea sorianese per diversi giorni. I religiosi non pensarono si salvare la pisside col SS. Sacramento e il Quadro, anche perché non sapevano dove poterli alloggiare.

Speravano che la massiccia mole della chiesa potesse resistere agli scuotimenti sismici. Tuttavia, poco dopo mezzogiorno del 7 febbraio decisero di portare il Sacramento e il Quadro in una baracca improvvisata nei campi. Si erano appena avviati verso il convento quanto l’imponente struttura barocca di schianto franò su se stessa. I religiosi per poco non ci rimisero la vita. Dal crollo rimase indenne l’ancona con il simulacro della Madonna del Rosario. Non a caso, si affermò la devozione alla Vergine del Rosario liberatrice del flagello, come vedremo più avanti. Dell’intera popolazione sorianese che era di 3.765, perirono 63 uomini, 71 donne e 37 bambini. Grande fu la costernazione di tutto il popolo di fronte al cumulo di rovine cui era stato ridotto il Santuario. I superstiti però affrontarono la situazione con coraggio. I frati si preoccuparono di sistemare in alcune baracche di fortuna tutto ciò che era possibile recuperare dal crollo della struttura, libri e oggetti sacri, mentre in giro si era sparsa voce che il prezioso Quadro fosse stato visto risalire in cielo nell’istante in cui crollò la basilica. Questo scatenò l’ansia nei frati desiderosi di recuperare al più presto la Sacra reliquia, nonostante le piogge che imperversavano ininterrottamente e le autorità vietassero 86 ogni tentativo di scavo prima che vi giungessero persone esperte . Solo nei primi di marzo iniziarono i lavori di sterro presso l’altare maggiore. Sera del 24 marzo fu intravisto un pezzo del Quadro, ma giungendovi una folla di curiosi tutto precipitò nella buca profonda vanificando tanto lavoro. Gli operai che si si trovavano dentro ne uscirono vivi per miracolo. Tuttavia il giorno dopo la Tela fu ritrovata, ma era la parte inferiore, mancava l’altra metà. Continuando il lavori e giungendo a 6 metri di profondità fu ritrovata la Sacra Pisside e alle ore 20,00 la parte superiore della Tela. La Pisside fu collocata nella chiesetta baraccata e la Tela rabberciata dai frati fu esposta all’interno della stessa chiesa dove la gente si raccolse per tutta la notte in 87 preghiera . I Domenicani ripresero allora fiduciosi la loro opera di santificazione e di ministero. Il 5 maggio 1783 il vicario generale del regno don Francesco Pignatelli propose al re l’istituzione di una “Cassa Sacra” per requisire tutti i beni degli enti religiosi sinistrati. Il 4 giugno il re approvò la Cassa con sede a Catanzaro. Fu così che tutti i beni dei religiosi e quindi anche del convento di Soriano vennero incamerati dalla 88 famigerata cassa sacra a beneficio dei danneggiati dal terremoto , mentre in realtà furono dissipati al punto che ancora oggi si dice che la cassa sacra fu una calamità peggiore della prima. Il convento rischiò la chiusura, giacché il governo borbonico proibì la ricostruzione degli edifici religiosi calabresi. Pertanto, frati e suore superstiti dovettero trovare asilo presso monasteri di altre regioni. I domenicani di Soriano grazie ad una speciale concessione regia (1790) poterono tornare in Santuario solo in 89 numero di dodici . Nel 1796 una nuova bufera si addensa sulla Calabria. Scoppia la guerra tra francesi e Borboni. Ferdinando IV fugge a Palermo. Il dominio napoleonico fu egualmente devastante per la Chiesa. Infatti, con decreto del 13 febbraio 1807 furono nuovamente soppressi tutti i conventi e confiscati i loro beni. Col ritorno dei Borboni (17 giugno 1815), grazie al decreto del 9 agosto 1819 furono restituiti ai conventi i beni che non erano stati venduti durante la dominazione francese e con decreto del 9 agosto dello stesso anno fu ottenuto il ripristino dei conventi di Soriano, Nicastro e San Giorgio Morgeto che però dipendevano dal convento di San Domenico Maggiore di Napoli. Ad ogni modo, pur essendo trascorsi ben 36 anni dalla catastrofe del 1783 la chiesa 90 restava ancora una modesta baracca, mentre il convento era un cumulo di macerie . Perciò, il priore della rinata comunità domenicana sorianese, padre Vincenzo Maria Arcidiacono da Bagnara, diede inizio alla costruzione di un nuovo convento di proporzioni decisamente più modeste. Morto di lì a poco, subentrò ad interim padre Raffaele Politi fino a quando fu eletto priore padre Vincenzo Maria Armentano da Mormanno che subito rimise in sesto le finanze dilapidate durante la proscrizione e 91 fece ristampare una veduta scenografica del Santuario risalente a prima del 1783 . Proseguì anche i lavori della costruzione del convento che aveva posto le basi della nuova chiesa dove in precedenza sorgeva il chiostro del priore, più in alto rispetto alla prorompente facciata barocca del Santuario, in prossimità della collina degli Angeli. Purtroppo Armentano dovette lasciare ben presto la comunità dei frati perché il 12 agosto 1824, in Roma, veniva consacrato vescovo di Mileto. Nel frattempo la devozione alla Santa Immagine di Soriano non si era spenta, ma non aveva più la risonanza di un tempo a livello internazionale dei secoli precedenti. Nel 1850, con la legge Siccardi, il regno del Piemonte aveva tolto parecchi diritti al clero e con la legge del 29 maggio del 1855 soppresse alcuni ordini religiosi. Pertanto, i loro beni venivano amministrati da una cosiddetta “Cassa Ecclesiastica” fino a quando con la legge del 21 agosto passavano al demanio. Sempre nel 1855, padre Vincenzo Acquarone, all’epoca Priore dei Domenicani di Soriano commissionò allo scultore sorianese, Giuseppe Antonio Ruffo, una statua espressiva di San Domenico, che l’artista sorianese modellò in un sol blocco di tiglio e raffigura il Santo Patriarca intento a predicare.

Lo scopo era quello di sostituire il quadro nelle pubbliche processioni affinché non si deteriorasse. Dal 4 agosto al 15 settembre, questo simulacro viene da allora esposto ogni anno presso il presbiterio dell’altare maggiore, e portato in processione per le vie del paese. Secondo alcune testimonianze, questo simulacro si animò per ben due volte e precisamente il 15 92 settembre del 1870 e 14 anni dopo, nel 1884 . Tornando alle disposizioni del regno del Piemonte, il 7 luglio del 1866 tutti gli ordini religiosi e le congregazioni furono soppressi ufficialmente e la “Cassa Ecclesiastica” fu trasformata in “Fondo per il Culto”. Su Soriano tornava il buio, visto che solo qualche anno prima, il 15 dicembre del 1860, era stata inaugurata e consacrata la nuova chiesa in pompa magna, anche se mancavano ancora gli altari laterali e l’ancona per il Quadro. Ai frati era stato proibito di mettere piede in Santuario al punto che il Provinciale di Calabria, padre Tommaso Sarraco e il fratello laico, fra Giovanni Cardile, erano ospiti di alcune famiglie sorianesi costatando come 93 la forza devastatrice degli uomini fosse superiore a quella della natura . Fu a Reggio Calabria, grazie a padre Antonino Ricagno, nominato vicario generale per il meridione nel 1917, che si preparò il ritorno dei domenicani a Soriano. Convento che egli aveva visitato nel 1919 accompagnato dal procuratore generale padre Filippo Caterini. Il Ricagno con solerte rapidità acquistò un locale a Soriano. Recatosi in loco col marchese Luigi Nunziante, grande benefattore dei domenicani e direttore della colonia agricola di San Ferdinando e di Rosarno, fu stipulato un contratto col comune di Soriano, rappresentato dal sindaco Vincenzo Luciano, per l’acquisto dell’antico convento e dei locali adiacenti alla chiesa prospicienti il rudere adibito a mattatoio locale. Il costo di poche migliaia di lire prevedeva però una clausola, secondo cui, il ripristino del convento doveva avvenire entro sei anni altrimenti sarebbe decaduto. Nel 1924 l’arciprete di Soriano, don Domenico Bartone indirizzava al Ricagno un ragazzo di Sorianello, Pietro Carmelo Barilaro, che non era stato accolto dai frati minori per mancanza di posto. A sua volta padre Ricagno inviò il ragazzo tredicenne ad Acireale. Nel luglio del 1928 visitò il convento di Soriano il maestro generale dell’ordine domenicano, padre Bonaventura Paredes che auspicava il ritorno dei frati in Santuario che seppur ricostruito nell’ala frontale era stato adibito a municipio, scuole e asilo infantile; mentre l’ala centrale era andata distrutta a causa di un incendio fortuito il 24 maggio del 1917. Le stanze che erano state lasciate ai frati erano inabitabili. Dopo la visita del padre generale Paredes l’arciprete aveva cominciato a costruire una sacrestia, ma i lavori si arrestarono per mancanza di fondi. Nel 1932 il direttivo della Confraternita di Gesù e Maria del SS. mo Rosario avviò le pratiche per il riconoscimento giuridico e il riscatto della chiesa del Santuario. Al riguardo va ricordato come di fronte al disastro del 1783, davanti all’ancona intatta con il simulacro della Madonna del Rosario i confratelli e tutto il popolo sorianese stabilirono di portarla in processione ogni 7 febbraio invocando Maria del Rosario liberatrice del flagello. Il 21 maggio, 1934, il priore della Confraternita del Rosario, inviò una lettera al commissario prefettizio per far sì che la chiesa potesse usuffruire 94 dell’attacco dell’acqua in modo da garantire l’igiene all’interno dell’edificio sacro . Nel 1928, Pietro Barilaro prese l’abito domenicano a Chieri col nome di fra Domenico. Ordinato sacerdote nel 1935 cantò messa a Soriano assistito da padre Giovanni Cataldi, padre Mannes Milazzo e dal suo fratello minore che diventerà lo 95 storico del Santuario, padre Antonino Barilaro . Proprio padre Domenico Barilaro, attraverso uno scambio epistolare con il sottopriore della Confraternita del Rosario del tempo, riuscì ad attuare uno stratagemma per assicurarsi il ritorno delle bianche tonache in Santuario. Dall’altro lato, l’arciprete Domenico Bartone svolse abilmente un ruolo istituzionale per far sì che il sogno del ritorno diventasse realtà. Nel 1941 gli assistenti della scuola apostolica di Acireale, tra cui padre Domenico Barilaro, decisero di inviare l’anno successivo (1942) a Soriano gli alunni affinché potessero trascorrere un mese di vacanza lontano dai disagi che causava la guerra proprio in Sicilia. Il 14 luglio del 1942 padre Domenico Barilaro con circa trenta aspiranti domenicani lasciavano Acireale alla volta di Soriano. L’ultimo tratto da Vibo a Soriano fu percorso a piedi in pellegrinaggio devoto verso la Santa Immagine. L’accoglienza dei sorianesi fu piena di entusiasmo al punto che le autorità pensavano che il ritorno fosse definitivo. Perciò inviarono un telegramma di ringraziamento al vicario generale Montoto e al provinciale di Sicilia, padre Domenico Mingoia che subito esortarono i frati a rientrare. I sorianesi si opposero con determinazione fino a quando dopo diverse trattative il maestro generale, Martino Gillet, concesse la riapertura temporanea del convento e il soggiorno della scuola apostolica almeno fino 96 al termine della guerra . Nel frattempo, padre Domenico Barilaro riprese i lavori della sacrestia e furono gettate le basi dell’edificio destinato alla scuola apostolica. I lavori interrotti per la guerra ripresero nel 1966 con cui fu terminato il primo piano, in seguito rifinito sotto la guida di padre Procopio Giordano, rettore all’epoca del Santuario. Nel 1972, in occasione dei festeggiamenti del primo centenario dell’animazione della meravigliosa scultura di San Domenico del Ruffo, il vescovo di Mileto, mons. Vincenzo De Chiara consacrò la chiesa che era stata ristrutturata dopo 97 il terremoto del 1970 e dopo pochi anni la dichiarava Santuario della Diocesi . La gioia fu tanta quando nel 1942, dopo ben 76 anni di esilio, i frati rimisero finalmente 98 piede nella “Santa Casa” per rimanervi . Alla luce dei fatti accaduti si rivela profetica la seguente scrittura del Jansen divenuta ormai motto popolare da parte dei sorianesi, devoti della Celeste Immagine: «In Calabria […] caeci, claudi, hydropici alijquesque afflicti morbis fanitatem acceperunt, mortui etiam ad vitam revocati, ut vulgo diceretur: Corporis S. Dominici 99 quescit Bononiae, sed anima in Suriano» . Di fatto, quanto scritto da Jansen: «Il corpo a Bologna e lo spirito a Soriano» è ormai un’espressione che accompagna la figura del Santo Patriarca Domenico in ogni 100 angolo del mondo .
Saggio di Martino Michele Battaglia ( «Illuminazioni» (ISSN: 2037-609X), n. 50, ottobre-dicembre 2019 )