
Il castello di Bivona si attesta a breve distanza dalla linea costiera, lungo il margine di una vasta proprietà agricola non lontano dall’area industriale di Portosalvo (frazione del comune di Vibo Valentia ndr) (fig. 1). Il poderoso apparato difensivo, insiste su preesistenze romane e greche legate alla presenza dello scalo marittimo di Hipponion-Valentia già esistente nel III secolo a.C. (Strabone VI, 1, 2).
Fig. 1: Castello di Bivona -Panoramica.
La notizia più antica della presenza a Bivona di un edificio fortificato risale all’alto Medioevo e la si ricava dal Diploma Normanno del giugno 1101, che, nell’elencare i possedimenti dell’Abbazia della SS. Trinità di Mileto, accenna ad un «…monasterium castellarium, cum Bibona portum tonnarie…» (Diplomi Normanni a. 1101, giu., Ind. II). Successivamente, in un diploma di Carlo I del 1276, emanato per contrastare la politica di espansione territoriale ed economica attuata da alcuni feudatari, si avvisavano i nobili della Calabria Inferiore a non usurpare i diritti marittimi delle spiagge comprese nei loro feudi, poiché spettavano appunto alla Corona, ribadendo inoltre che i diritti marittimi di Bibona ricadevano sotto l’amministrazione della SS. Trinità di Mileto (Montesanti 1999). Riprendendo le teorie seicentesche del conte G. Capialbi, il Bisogni afferma che il castello fu costruito nel 1442, per proteggere il porto di Bivona dalle incursioni piratesche. Secondo il Capialbi i lavori di costruzione del casello furono affidati e diretti all’architetto monteleonese Xante Nopoli (Martorano 1992).
Che la costruzione sia avvenuta precedentemente al 1400 e che a quell’epoca il castello fosse già predisposto per la difesa costiera, lo ricaviamo dai regesti della cancelleria aragonese, in cui viene fatta una richiesta di danaro per lavori di restauro (Santoro 1982). Ulteriori notizie sul castello sono sempre legate a lavori di adeguamento difensivo delle sue strutture e della sua dotazione militare. Il 22 settembre 1494 Carlo d’Aragona ordina al Tesoriere di Calabria Ultra, Battista di Vena, di provvedere alla spesa necessaria per i lavori murari da eseguirsi nel Castello di Bivona, in particolare alla “torre mastra”. Qualche mese dopo, il 2 novembre 1494 vengono inviate al castello di Bivona trecento lance e sei bombarde da utilizzare per la difesa costiera (Mazzoleni 1947). Nel 1500, sotto il governo dei Pignatelli, il castello diventa un sito produttivo per la lavorazione della cannamele. Tale produzione porta ad una modifica strutturale del castello con la costruzione di un acquedotto che, agganciandosi alla torre ovest e seguendo per intero il tratto della cinta muraria, convogliava le acque del vicino torrente Trainiti sulla torre est, facendole confluire nella saetta che azionava il mulino, costruito proprio tra la torre ed il trappeto nella parte orientale. Nel 1680, secondo G. Matacena, la coltura della canna da zucchero viene abbandonata e i terreni intorno al castello trasformati in seminativo (Matacena 1983). Nel 1710 il Bisogni descrive un castello già in rovina ed attribuisce la causa all’insalubrità dell’aria, provocata da un lago di acqua stagnante formatosi forse per l’esondazione dei torrenti Trainiti e Sant’Anna (Bisogni 1710). Difatti, in una litografia di metà Ottocento, il complesso architettonico viene raffigurato completamente in rovina.
La Struttura
Il castello si presenta oggi con una pianta regolare lievemente trapezoidale, con torri circolari agli angoli esterni. Il suo perimetro, torri incluse, misura circa 49×32 m ed è provvisto di mura di cinta dotate di scarpa difensiva su cui si aprono finestre di diverse misure e stile. Il mastio interno è di forma rettangolare, con tre piani, uno dei quali sottostante il livello del cortile interno, e lati di 25×15 m di lunghezza, di cui due, quello occidentale e parte di quello settentrionale, sono oggi visibili in elevato (fig. 2).

Utilizzato come residenza per la guarnigione, il mastio fu successivamente sopraelevato di un piano nella seconda metà del 1500, probabilmente nell’epoca in cui il castello viene utilizzato come fabbrica della cannamele. Che la sopraelevazione del mastio sia un’opera successiva, lo si desume dalla maggiore ampiezza delle finestre poste al piano superiore rispetto a quelle più antiche a feritoia del piano terra, nonché dalla diversa tecnica costruttiva utilizzata. Il piano inferiore era diviso longitudinalmente a metà in modo da creare un lungo corridoio attraverso il quale si accedeva sia alla grande camera con copertura a volta a botte sia alle due camere con copertura a volta a crociera. Anche il piano elevato aveva una divisione longitudinale e ve ne è un indizio presso il muro di nord-ovest. L’ingresso al mastio era sul lato sud-est e, durante i lavori effettuati nel 1969 per il sostentamento del castello, è stato individuato il gradino della sua, probabilmente unica, porta d’accesso, attraversando la quale si potevano raggiungere sia i locali sotterranei che i piani superiori. Il piano sotterraneo aveva due grandi sale, che oggi risultano completamente riempite dal materiale crollato. Allo spigolo nord del mastio vi sono i resti dell’imposta dell’arco, descritto in documenti del ’600 e visibile in una stampa del XVIII secolo, che sosteneva un camminamento che dal tetto conduceva alla torre ad esso posta frontalmente. Tra le mura ed il mastio vi è un largo corridoio di circa 5 m, più largo di circa 2 m in corrispondenza all’attuale ingresso del muro di cinta, consentendo in questa zona una maggiore area di movimento tra quello che era il ponte levatoio e l’entrata principale del mastio. Nel cortile interno, a nord dell’ingresso al mastio, rimane l’apertura quadrata del pozzo esterno, sotto la quale si trova una cisterna, coperta a volta, di circa 3×2 m. Per quanto riguarda le torri, quella nord è probabilmente la più antica, sia per il maggiore diametro, che per il notevole spessore della muratura. Essa, contrariamente alle altre tre torri che risultano in buono stato, è quasi del tutto crollata, e presenta un taglio alla sua base che coincide con una delle aperture del magazzino ad essa annesso in epoca successiva. Nella torre sud sono presenti aperture strombate a croce allungata adatte all’impiego di arcieri e balestrieri. Alla torre est venne affiancata successivamente la torre a saetta che azionava le macine del trappeto della cannamele, poste nel magazzino appoggiato al muro di cinta del castello.

Le indagini archeologiche
Tra il mese di ottobre e quello di dicembre 2015, nell’ambito dei lavori per la realizzazione del Parco Archeologico Urbano di Hipponion-Valentia, è stata avviata una campagna di scavi archeologici all’interno del castello, con lo scopo di migliorare la fruibilità del sito ed effettuare mirati approfondimenti stratigrafici in modo da orientare eventuali e auspicabili indagini future. Le indagini hanno previsto una suddivisione iniziale del sito in 4 aree di scavo e 2 saggi di approfondimento, mentre all’interno della struttura abitativa sono stati effettuati 3 saggi di scavo stratigrafico (fig. 3). Iniziando da sud, l’area presenta un primo ambiente, denominato 1, accessibile anche attraverso l’area 4000 mediante un’apertura. Quest’ambiente, già individuato nelle campagne di scavo precedenti, presentava, sotto l’humus, uno strato sabbioso tagliato da una buca circolare, utilizzata probabilmente come calcara, per la costruzione o la rimodulazione delle aree.
Fig.4 – Castello di Bivona: planimetria (Martorano 1996).
Procedendo immediatamente a nord dell’ambiente 1, troviamo l’ambiente 2, che risulta più grande del primo per dimensioni, anche se, con ogni probabilità, inizialmente l’ambiente, che oggi appare unico, doveva risultare suddiviso in due parti come testimonia il resto di corpo avanzato appoggiato al muro esterno del mastio (fig. 4). Lo scavo di questo ambiente ha consentito la ricostruzione delle varie fasi di rifacimento e calpestio di questa fascia di cortile. Infatti è possibile asserire che, con ogni probabilità, vi sono tre fasi pavimentali che si susseguono e molto interessante risulta l’individuazione, seppur lacunosa, di un pavimento costituito da piastrelle di cotto, alcune di 20×20 cm, altre di riutilizzo di circa 30×12 cm. Lo scavo di una parte di pavimentazione ha restituito reperti ceramici databili tra il XIII e il XIV secolo costituendo il terminis post quem per la costruzione del pavimento in cotto. L’accesso a questo ambiente era garantito da una porta, probabilmente sormontata da un arco come si evince dal relativo strato di crollo e di cui rimangono a vista i due stipiti. Proseguendo verso nord, si accede all’area 2000: qui sono presenti numerosi strati di crollo e, in particolare da uno di essi, provengono i resti di alcuni elementi architettonici decorativi, che testimoniano la presenza di elementi aggettanti, così come vengono raffigurati nel codice Carratelli del XVI secolo d.C. Nella parte nord-est dell’area si trova una scala, costruita a ridosso del muro di cinta e della torre settentrionale, probabilmente utilizzata per accedere al percorso di avvistamento. La struttura è costruita con pietrame di grandi e medie pezzature di granito, leggermente sbozzate e legate con malta e tra il pietrame spicca un blocco di marmo verde, sicuramente di riutilizzo. Le soglie dei gradini sono costituite da piastrelle di cotto nei primi due gradini, mentre il resto delle pedate è costituito dalla posa in piano dei conci. Procedendo ancora verso nord-est troviamo l’area 3000, dove si evidenzia la presenza di strati di crollo. Anche questa parte di camminamento interno al perimetro fortificato subisce delle trasformazioni, dovute all’impianto di un’area di lavorazione, probabilmente metallo, viste la notevole quantità di scorie individuate e i numerosi crogioli. Come nell’area 1000, anche in questa area viene costruito un muro che delimita l’area di produzione, creando una chiusura dell’intero corridoio. Tale struttura divisoria si appoggia al muro perimetrale di fortificazione dividendo in due l’area di apertura della finestra presente. Nell’angolo est viene infine costruita la vasca che presenta sulla parte sommitale un piano di lavorazione in malta con buche di palo. Per meglio comprendere i rapporti intercorrenti con la struttura esterna e quella abitativa sono stati posizionati all’interno della struttura tre saggi di scavo stratigrafico Uno di essi è stato effettuato all’altezza della soglia di ingresso della struttura fortificata ed ha messo in evidenza, oltre la soglia già esistente costituita dal riutilizzo di una colonna di granito sezionata, il piano pavimentale di ingresso e lacerti di pavimentazione in basolato, nel corridoio principale, da cui si diparte un ulteriore accesso interno laterale, costituito da un gradino in basole granitiche (fig. 5).
Fig.3 – Castello di Bivona: veduta dall’alto e posizionamento delle aree di scavo.
Appendice
Lo scavo è stato condotto sul campo da chi scrive e diretto dal Dott. Fabrizio Sudano, funzionario archeologo della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia, che si ringrazia per aver concesso lo studio. I rilievi sono stati effettuati dal dott. Eugenio Donato.
Bibliografia
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testo di Mariangela Preta
riferimento: https://www.identitavibonesi.it/architettura/castello-di-bivona/